Ozen - River Regista: Emir Baigazin
Ozen - River
Regista: Emir Baigazin
Cast: Zhalgas Klanov, Zhasulan Userbayev, Ruslan Userbayev, Bagdaulet Sagindikov, Sultanali Zhaksybek, Kuandyk Kystykbayev, Aida Iliyaskyzy, Eric Tazabekov
Anno: 2018
Provenienza:Kazakistan, Polonia, Norvegia
Autore recensione: Roberto Matteucci
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“Lo odio.”
Il Kazakistan è il decimo paese più grande del mondo – 2,7 milioni di chilometri quadri – ma è scarsamente abitato – meno di 19 milioni di persone – sessantatreesimo nella classifica mondiale.
Una vastissima steppa si estende al suo interno. Nella capitale Almaty vive poco meno del 10% della popolazione, possiamo comprendere come nella campagna e nei piccoli villaggi sono predominanti i grandissimi spazi, vuoti, aridi, inospitali; caratteristiche essenziali capaci di delineare l'esistenza dei kazaki.
L'ambientazione del Kazakistan è importante per localizzare il bel film Ozen – River del regista kazaco Emir Baigazin. La pellicola è stata presentata alla 75. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia vincendo, per la categoria Orizzonti, il premio per la migliore regia.
“... mi sono imbattuto nelle parole di Salomone, contenute nella Bibbia: “I pensieri nel cuore dell’uomo sono come acque profonde”. E questa è stata un’altra fonte di ispirazione per il film. E’ stato lì che mi è venuto in mente di girarlo lungo il fiume.” (1)
Il primo elemento, raccontato dall'autore, è il fiume.
È il fiume la location divina della storia, d'altronde proviene da una ispirazione del Salomone biblico. Vicino ad un fiume immenso, non si vede l'altra sponda, vive una famiglia totalmente al maschile, salvo alcune breve apparizione di una donna.
La loro casa è modesta fattoria isolata nella steppa, distante da ogni città, agiatezza, benessere. È composta dal padre e da cinque figli, tutti maschi. Il maggiore – Aslan – ha tredici anni. I giovani lavorano duramente o nel campo, o costruendo edifici. Il genitore è il severo capo, quando si allontana in sidecar a vendere del pane, Aslan lo sostituisce. È un duro compito per un bambino guidare i fratelli nei lavori. Aslan ha la responsabilità e se essi non li eseguono scrupolosamente esso diventa il capro espiatorioed è punito.
Aslan è il protagonista centrale, è il perno, il modello per gli altri fratelli, intorno e dentro al salomonico fiume.
Nella scena iniziale Aslan è seduto, in silenzio, ripreso fra due porte: pensa.
Le inquadrature fra infissi come ante, mura, finestre sono uno dei linguaggi del regista, l'autore ama le perfette dimensioni geometriche.
Tutto è geometrico, organizzato, regolare, preciso, schematico e perfino logico: la casa vista da fuori è ideale, tutto è esatto, le finestre sono simmetriche e i personaggi si atteggiano, si posizionano strutturali all'edificio e alla steppa, fino a essere un tutt'uno.
Sono vestiti con delle tuniche, simile a quelle dei francescani. I poveri abiti hanno lo stesso colore dello sfondo scenografico. È evidente, sono umili, non hanno problemi di cibo ma vivono lavorando sodo. Dormono insieme in grandi letti mentre le mosche gli gironzolano intorno. I cinque sono uguali, sia perché vestono allo stesso modo, sia perché hanno la stessa impostazione mentale. Malgrado le aspre fatiche, Aslan mantiene i legami abbastanza liberi perciò i ragazzi di divertono, sono allegri, sempre affaccendati in giochi. Anche gli svaghi assumono un aspetto geometrico.
La dimensione è ottimale, nonostante le punizioni corporali di un padre crudele. La perfezione è sconvolta da un fattore esterno sconosciuto, estraneo e inesplorato.
Un ragazzino – un altro maschio – arriva alla casa. È un cugino di nome Kanat. Ha la stessa età ma ha un atteggiamento diverso.
Indossa una moderna tuta, delle lunghe calze gialle, un cappello nero, degli occhiali da sole e si muove con uno skateboard elettrico.
Soprattutto possiede una arma nucleare per degli adolescenti relegati al confine del mondo: un tablet. Il tablet scompagina l'equilibrio sottile della famiglia. La sua sconvolgente luminosità ed eclettismo impegnerà tutti, padre compreso, in una lotta per la sua conquista. Tutti lo vogliono.
Kanat rappresenta la civiltà moderna, contemporanea mentre si scontra sulla vita rurale distruggendola?
Il pensiero di Emir Baigazin:
“Penso che, in questo lavoro, la cosa più importante per me sia la componente spirituale.
…
In realtà, nel film ci sono una famiglia e un ospite che viene a trovare questa famiglia. Così facendo, volevo lasciare al pubblico più spazio per le sue libere interpretazioni. L’ospite può essere interpretato in diversi modi – potrebbe essere Dio, come il diavolo o la civilizzazione – perché ci rendiamo conto che non solo distruggerà la famiglia, ma li metterà anche alla prova. Sono curioso di sentire diverse interpretazioni su questo.” (1)
L'autore non ha una teoria da imporre ma vuole solo stimolare il libero arbitrio sull'interpretazione di Kanat. Tutto sommato è un ragazzino come gli altri. Ma nel DNA ha una minaccia distruttiva per la vita e cultura di un popolo. La famiglia è sia eccitata dai cambiamenti, sia impegnati a difendere la propria tradizione. Fra le due mentalità c'è il fiume, il luogo della sparizione.
“Il fiume ha sempre attratto la gente.”
È nel fiume – colorato dalla luce del sole – si svolge ogni attività, incluse quelle dalle implicazioni spirituali.
Il film è bello, attivo, stimolante.
Il regista usa elementi visivi chiari e decisi. Il fiume, il vasto spazio della steppa, la solitudine interiore ed esteriore.
L'immensità, la bellezza del territorio meritano una coreografia deliziosa perfino quando giocano, nuotano o si rotolano sulla sabbia. Perciò la recitazione dei cinque maschi è artistica, precisa, attenta; deve dimostrare la pace ed essi riescono a trovarla esclusivamente nel fiume.
C'è bisogno d'inquadrature fisse, campi lunghi per consentire ai fratelli di essere partecipi all'ambiente, fino a entrare in simbiosi con il fiume.
Non sappiamo quanto è largo, mai abbiamo una visione dell'altra riva. Sarà lì ad accadere un mistero.
Pure il padre ama il fiume: “Il fiume genera sempre desiderio”. Anch'esso ci nuota con desiderio, e anch'esso è affascinato dalla modernità: esso vincerà il tablet di Kanat.
Kanat è il terrorista dello status quo; è inquadrato mentre aggiusta la televisione per poi guardare insieme un telegiornale della Corea del Nord.
Tenta i cugini: “Chi viene con me verso l'altra riva?” Essi mai avevano osato.
La prova è raccolta. È la sfida storica, conosciuta: due mondi diversi si incontrano, due culture dissimili si annusano.
In realtà sono speculari, devono trovare una comune dialettica. Prima però deve scoppiare il finimondo.
I ragazzi fanno la spia delle malefatte passate, dimostrano come le danze nascondevano segreti crudeli e nefasti.
Perfino Aslan ora assomiglia al genitore, rigido e autoritario con i fratelli: “Stai diventando un uomo”.
Un film metafisico, spesso indecifrabile, una fucina di brame moderne: Emir Baigazin parla di stimolazione da “... i quadri di Franz Marc a ispirarmi.” (1)
In certe scene invece si sentono altri influssi: come Thomas Eakins in Swimming. Kanet prima piscia nel fiume e poi si butta. Poi tutti pisciano nel fiume e poi si lanciano in acqua. Assomigliano ai ragazzi di Eakins, anch'essi coreografici, hanno una circolarità: qualcuno si tuffa, qualcuno aspetta, qualcuno sta tornando: hanno lo stesso ritmo dei fratelli.
I loro portamenti fisici ricordano l'arte della Russia comunista, sia per le statue, sia per un pittore come Aleksandr Deineka con i suoi ragazzi bagnati e statuari al mare.
C'è addirittura un tono ironico. In una scena stanno guardando nel telegiornale un servizio sulla crisi della borsa e dei cambi. Divertente per dei ragazzi senza comodità, i quali campano di inumano lavoro in una steppa arida. La steppa li cresce velocemente e nello stesso tempo li salva, li mantiene separati da una futile cerimonia borghese.