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Living Regista: Oliver Hermanus

Living

Regista: Oliver Hermanus

Cast: Bill Nighy, Alex Sharp, Adrian Rawlins, Hubert Burton, Oliver Chris, Michael Cochrane, Anant Varman, Aimee Lou Wood, Zoe Boyle, Lia Williams, Jessica Flood, Jamie Wilkes, Richard Cunningham, John Mackay, Ffion Jolly, Celeste Dodwell, Jonathan Keeble, Patsy Ferran, Barney Fishwick, Eunice Roberts, Mark James, Tom Burke, Nichola McAuliffe

Provenienza: UK, Giappone, Svezia

Anno 2022

Autore recensione: Roberto Matteucci

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“Infatued?”

Nel 1951, Akira Kurosawa narra le difficoltà umane di un Giappone post guerra. La sconfitta ha depresso e reso vulnerabili i giapponesi, costretti a lottare per una ricostruzione fisica e psicologica complicata. Il protagonista del film IkiraVivere, Kanji Watanabe, è un burocrate, un travet sommerso dalle scartoffie. Legge le pratiche con attenzione, lentamente e alla fine posiziona il suo sigillo sul documento. Watanabe è chiamato dai subalterni Mummia. Qual è la differenza fra una mummia e uno zombi?

Mummia e zombi sono entrambi morti. La mummia è immobile e fasciata invece lo zombi cammina, si muove e può uccidere.

È in questa distinzione la diversità fra lo stupendo autentico film di Akira Kurosawa e il remake, Living, diretto dal regista sudafricano Oliver Hermanus, presentato alla 79. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Oliver Hermanus è nato a Città del Capo. In Sudafrica ha ambientato due suoi film The Endless River e Moffie proiettati rispettivamente alla edizione 72 e 76 del Festival del cinema di Venezia.

The Endless River, del 2015, è una storia brutale. È collocato in un paese del Sudafrica dominata da una natura rigogliosa. La bellezza paesaggistica del Sudafrica si contrappone con la violenza spietata della piccola cittadina. Una allegoria della nazione: meraviglie e cattiverie ci convivono da anni.

Muffie è una pellicola più complessa. Racconta la guerra fra il Sudafrica e l'Angola in una caserma vicino al fronte composta esclusivamente da soldati bianchi. Una relazione sessuale fra due reclute sconvolge quel territorio completamente maschile. La tesi del regista è giustificatorio. I bianchi furono nemici dei neri ma ci furono bianchi trattati peggio: gli omosessuali. L'autore unisce e rende simile la discriminazione dei neri a quella dei gay bianchi.

Due film con ragionamenti arzigogolati, difficili, ma con una regia formale, logica, con argomentazione nitide. Le atmosfera dell'epoca sono azzeccata, compresa la descrizione sociologica. Queste qualità le usa pure per il remake Living traslocando la città, da Tokyo a Londra ma sempre negli anni cinquanta.

Il commovente Kanji Watanabe vive a Tokyo, William abita a Londra.

La trama rispetta scrupolosamente l'originale. William è un vecchio funzionario dell'ufficio opere pubbliche. Il lavoro non sarebbe noioso ma anni di ripetitività e una totale assenza di coinvolgimento l'hanno reso cupo tedioso. Quando il dottore gli diagnostica pochi mesi di vita per un cancro allo stomaco, si pone un problema esistenziale. Cosa ha fatto nella sua vita di importante? Ha un figlio grande, sposato. L'ha cresciuto da solo, la moglie è morta. Il figlio è distante e interessato esclusivamente ai soldi del padre. Sconvolto, per la prima volta non si presenta in ufficio fra lo stupore dei sottoposti. Frequenta dei nuovi amici, è trascinato in locali con karaoke e donne. Incontra Miss Harris una ex collega molto simpatica. Fra essi emerge una amicizia e una confidenza fino a raccontargli la sua malattia. Adesso è più libero e ha il bisogno di una sfida, di avere una vittoria per motivare la sua esistenza. Ritorna in ufficio, prende un fascicolo. Alcune madri hanno proposto una domanda al comune di ripulire un pezzo di terra colpito da una bomba nella seconda guerra mondiale. Al suo posto vorrebbero un parco giochi per bambini. Una richiesta meritevole ma non fondamentale. A William non gli interessa, non vuole cambiare il mondo, ma vuole un successo sulla burocrazia. Non è facile. Ora si trova d'altra parte. Deve convincere tanti dirigenti e impiegati comunali recalcitranti, come era stato lui. Pazienza, meticolosità, decisione gli permettono di conquistare la sua prima e ultima sfida. I bambini avranno la loro altalena.

Un compito assurdo quello del regista sudafricano: prendere un capolavoro di un maestro del cinema, Akira Kurosawa, considerato giustamente un genio, e dirigere il remake. Qual altro regista avrebbe rischiato?

Lo spiega Oliver Hermanus in una intervista:

All the filmmakers I spoke to [beforehand] when I was saying, “Oh, I’m really thinking of doing this movie in England,” I’d always wait a minute to say, “It’s a remake of a Kurosawa.” And that’s when all of the friends would start screaming and running around going, “Are you nuts?” So it had that effect in my life for a while. [laughs]” (1) Tutti i registi con cui ho parlato [prima] quando dicevo: "Oh, sto davvero pensando di fare questo film in Inghilterra", aspettavo sempre un minuto prima di dire: "È un remake di un Kurosawa". Ed è allora che tutti gli amici inizierebbero a urlare e correre in giro dicendo: "Sei matto?" Quindi ha avuto quell'effetto nella mia vita per un po'. [ride]

Gli amici hanno una reazione onesta: “Are you nuts?” “Sei matto?” Hanno ragione, chiunque avrebbe declinato, c'è solo da perdere.

Oliver Hermanus, ovviamente non ha sconfitto Akira Kurasawa, ma non ha sfigurato, giocando una bella partita.

I produttori hanno anzitutto chiesto di spostare la prospettiva, William è un inglese e deve abitare a Londra:

Q: Right from the beginning, there’s a technicolor-looking image of 1950s people walking down the street, and a key character, Peter Wakeling [Alex Sharp], is waiting in the train station. It really sets the mood for this scene of manners on the train in the 1950s. You are originally from Cape Town, South Africa, and you made a transition yourself to a very different setting. How was so it carefully crafted? OH: I was looking at references to old imagery and was watching a lot of films [from that era]. I wanted London to be quite cinematic, so that meant that I was playing a lot with tropes that I’d seen in old movies that I really liked, and had developed ideas that I had from photography — approaching England really as an outsider and really wanting to make it my own. The reason why the producers also wanted me to do this film was because I wasn’t from the UK and that I would, somehow, bring a different eye to it. There was the invitation to do that, so I was very willing to pick and choose how I wanted to frame England.” (2)

Oliver Hermanus ci riesce a descrivere una Londra effervescente e colorata in technicolor. William è perfettamente anglosassone. I double decker, viaggi in treno sono stati aggiunti per creare una situazione totalmente britannica, un topos come dice l'autore: “I was playing a lot with tropes.

La psicologia della vita ha una uguale oculatezza tematica. L'autore parla di speranza e di una ricerca di una vita appagante:

The hope is that the focus and echo of the original is the same message, which is, to be present in your life and find a center that allows you to operate and be part of the world in a fulfilling way — not so much in the sense of grandeur and as a monument to oneself, but in the sense of knowing that on any given day the life that you live, the time you spend, is coming from a place inside of you that’s truthful, connected and self-aware. This movie has a small message but an important one.” (2)

Perché si vive? Qual è il senso? Ha aiutato degli individui nella sua lunga attività impiegatizia? Quale sarebbe il motivo della professione di William? Il parco giochi è una scelta casuale ma sicuramente in tutte le cartelle in ufficio c'è una esigenza solidale magari insignificante ma non da accantonare ma da sistemare.

È lo scontro per una amministrazione comprensiva ed equa. Regole precise e risolvibili, la burocrazia non deve essere una macchina di no, ma di giuste soluzioni.

Ambientato nella medesima epoca c'è un altro creativo film cubano sul medesimo argomento. Nel La Muerte De Un Burócrata del regista Tomás Gutiérrez Alea. La battaglia contro la malvagità della burocrazia si svolge impietosa fino a scherzare con la morte.

William è triste, malinconico, fragile e tormentato. Nel lavoro è indolente e pigro. Un comportamento antico, la sua malattia non c'entra nulla. L'ombroso atteggiamento è causato dalla solitudine.

Le scene caratteristiche di William sono molte. Il figlio è soggiogato dal padre e da una moglie egoista, perciò non discute dei suoi desideri nonostante le pressioni. La vita di William è priva di significato. Tutto cambia quando, si avvia deciso per definire la disputa del parco giochi. Si incammina volitivo con gli altri dipendenti in fila indiana. Ovvero è tenebroso quando in una specie di karaoke canta la struggente canzone The Rowan Tree.

Ovvero quando entra in ogni bar, ovvero quando dorme sulla spalla di una ragazza in uno spettacolo di cabaret.

Sembra uno stalker con Miss Harris. Questo condotta dipende dall'abbandono. Non nasconde doppi fini. Con la gentilezza apre uno spiraglio nell'animo della ragazza riuscendo a diventare amici. Miss Harris gli confida il suo soprannome: Mister Zombie, e William gli rivela il suo male.

Tuttavia, William mantiene una dignità regale addirittura quando occulta il fazzoletto sporco di sangue. D'altronde da fanciullo sognava di essere un gentleman “... what I wanted was to be a gentleman.

Il film è piacevole, ha struttura, ha una presentazione dei personaggi valida, un duplice conflitto, quello intimistico di un uomo consapevole della sua morte a breve contro la sua burocratica esistenza. Una burocrazia crudele, sadica, inumana, criminale sia in Giappone, sia in Inghilterra, sia a Cuba. Conflitto impari. La morte e la burocrazia saranno ininterrottamente i vincitori finali, eppure si possono annientare in battaglie coraggiose se sono combattute con vigore. Per questo William comincia la scontro, vuole aggrapparsi alla vita.

La storia ha ritmo. William si sposta a scatti, alternando presenza e assenza.

È la sequenza a casa. Dissolvenza, una casa opprimente, William è seduto nel buio. Ascolta il figlio e la moglie, stanno rientrando e parlano di chiedergli il denaro della liquidazione. William è nella oscurità totale ma è pur sempre presente. Ovvero la scena della cena, con il suono dei piatti e l'imbarazzo silenzioso del figlio. L'ellisse avviene con l'inquadratura del calendario.

Uguale accade nel lavoro. Quando è irreperibile in ufficio, la camera filma lo spazio vuoto. I colleghi intorno al tavolo collettivo pettegolano sulle ragioni dell'assenza, sulla sua sostituzione e sulla necessità di avvisare la polizia. Anche in questo caso William è assente.

Inquadratura dall'alto di William con la testa bassa, vergognoso, pensoso. William è visibile ma è vessato ingiustamente. Ovvero la sedia vuota, osservata dai colleghi incerti ma non preoccupati. Ovvero la scena dell'ufficio con le teste fuori frame. Ovvero quando il regista inquadra il volto di William a fuoco mentre in altre sfuocato, indeterminato. William è sia assente, sia presente.

Sono degli esempi di un ritmo centrato su William. Esso determina la struttura del film.

La tensione è mite, soft, non ci sono gesti eclatanti ma un andamento costante. Il regista lo sottolinea nelle sue tilt-shot, nei fondali apertamente finti, nel aerial-shot iniziale. Tante persone passeggiano veloci, il forte rumore dei tacchi. Alla stazione un giovane neo assunto al primo giorno raggiunge i suoi futuri colleghi. L'accoglienza è fredda, ognuno si fa i fatti propri. Prendono il treno insieme. È un'abitudine da lungo tempo e compiono le stesse azioni. Altresì il loro capo ufficio sale ma siede in una differente carrozza. Unicamente all'arrivo si salutano e procedono insieme ma silenziosi. Campo e controcampo e inquadratura da dietro sono le specifiche tecniche.

Questa lettura non consente sbalzi ma una scorrevole storia, una condizione naturale abbondante di elementi etici.

E ci sono quelli sociali. Un gentleman inglese si può equiparare a un giapponese passato attraverso la guerra? È questa la diversità vera fra Kurosawa e Oliver Hermanus. Kanji Watanabe è lo sconfitto, William è il vincente. Kanji Watanabe rappresenta la drammaticità, è il simbolo di diversi valori in profonda crisi. Leonardo Vittorio Arena nel libro Lo spirito del Giappone La filosofia del Sol Levante dalle origini ai giorni nostri (BUR Saggi Rizzoli, Milano, Prima edizione, gennaio 2008, pag. 366) :

La fine del secondo conflitto mondiale ha fatto vacillare la loro fiducia in se stessi, mettendo in discussione una antica scala di valori. Sono stati vittime di una sorta di alienazione: non potevano più trovare conforto nel vecchio mondo, né capivano come farsi spazio nel nuovo.

Per uscire dall'impasse, di fronte alla quale molti di loro hanno scelto il suicidio o l'isolamento, niente di meglio che richiamarsi a un preteso senso di superiorità, di antichissimo retaggio. La condizione drammatica dei giapponesi nel dopoguerra è stata mostrata in film quali Vivere di Kurosawa ...” (3)

Kanji Watanabe, Ikira – Vivere, Akira Kurosawa

Kanji Watanabe è pedante, monotono, timido, debole, educato, modesto, lo sguardo impacciato. I suoi primi piano sono intensi, quegli occhi bagnati di lacrime, bassi a guardare i piedi esprimono la sua pena. Il pubblico ha una totale identificazione con Kanji Watanabe, una identificazione trasformata in amore per i suoi occhi pudibondi. Per riuscirci Kurosawa idea una realtà in bianco e nero, in contrasto con il colore sofisticato di Oliver Hermanus. William non è un perdente, ha vinto la guerra, l'impero forse sparirà ma William vuole essere ancora un gentleman.

È un'altra difformità. Oliver Hermanus tratteggia una trama psicologica ma è una questione personale, privata, non c'è una complicità sociale ma esclusivamente un individualismo ricco di umanità ma non emozionante.

Gli occhi di Kanji Watanabe sono il Giappone, per una nazione:

... speciale, prediletta dai kami, è dura da cadere.” (3)

Kanji Watanabe reagisce con coraggio, non solo per se stesso, ma per l'intero suo ufficio.

La Mummia batte lo Zombie.

  1. https://moveablefest.com/kazuo-ishiguro-oliver-hermanus-living/

  2. https://cinemadailyus.com/interviews/living-exclusive-interview-with-director-oliver-hermanus/

  3. Leonardo Vittorio Arena, Lo spirito del Giappone La filosofia del Sol Levante dalle origini ai giorni nostri, BUR Saggi Rizzoli, Milano, Prima edizione, gennaio 2008

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