Hollywoodgate Regista: Ibrahim Nash'at
Hollywoodgate
Regista: Ibrahim Nash'at
Provenienza: USA, Germania
Anno 2023
Autore recensione: Roberto Matteucci
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“Americans left us a enormus treasure.”
Quante guerre ha combattuto, provocato, scatenato gli Stati Uniti d'America?
Quanti colpi di stato ha organizzato? Quanti nemici ha ucciso, ferito, torturato?
Secondo un articolo del 2015 del sito informare.over-blog.it (1), dal 1776 alla data della pubblicazione, gli anni di pace degli USA sono stati solo ventitré: dalla The American Revolution (1771–1783) alla Guerra in Afghanistan (2011-2015). Ancora la guerra in Iraq. Guerra civile in Ucraina e quella in Siria.
Nel sito libraries.indiana.edu (2) la Indiana University Bloomington conta quarantotto guerre fino al 2003.
Wikipedia ne segnala centodieci ma l'aggiornamento è in tempo reale. (3)
Queste sono i conflitti diretti poi ci sono quellI volutI dagli USA ma ingaggiate da altre nazioni come l'attuale guerra fra Ucraina e Russia. E tutte le subdole manovre sotterranee per istigare scontri, golpe, attentati, rapimenti. Il più famoso è l'intervento della CIA nel golpe di Pinochet in Cile e la conseguente sanguinosa repressione.
Le guerre sono state innumerevoli, rendendo ineseguibile un conteggio esatto. Indovinare le guerre americane è come azzeccare i fagioli in una scatola. È impossibile, non si riesce stare al passo.
In queste ennesime guerre quanti vittime ci sono state? Considerando solamente le stragi più eclatanti:
nella guerra di Corea circa tre milioni, (4)
nella guerra in Vietnam le stime dipendono dalle fonti, dai tre milioni e centomila:
“… according to a newly publicized survey by the Government, took the lives of 1.1 million Communist soldiers and two million Vietnamese civilians. (The Government says it has no way of estimating the number of dead from the former South Vietnamese Army.)” (5)
fino a raggiungere i cinque milioni:
“Cinq millions de morts: 20 ans apregraves la fin de la guerre du Vietnam, le gouvernement de Hanoi a reacute veacute leacute, lundi, le bilan d'un conflit dent le nombre de victimes avait eacute teacute minore a l'eacutepoque pour ne pas affecter le moral de la population.” (6)
Poi ci sarebbero d'aggiungere i morti in Cambogia e Laos.
In quella irachena (2003) sono duecento mila:
“Approximately 200,000: The number of Iraqi civilians killed in the war.” (7)
Per il quotidiano il Manifesto il totale complessivo è fra i venti e trenta milioni di morti. (8)
E quante guerre hanno vinto gli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale?
Ha risposto Clint Eastwood in Gunny: hanno vinto la guerra contro la grande potenza di Grenada con i suoi centodieci mila abitanti.
È sempre stata colpa di queste cattive nazioni? Sono stati il Vietnam, la Corea, l'Iraq, l’isola di Grenada a violare, ad assalire, la mansueta America?
La risposta del regista Ibrahim Nash'at, nel suo documentario Hollywoodgate, è certa: sono stati gli spietati afgani ad assalire gli Stati Uniti. I soldati americani hanno unicamente difeso la loro patria costruendo la prima linea difensiva a 11.925 chilometri da casa?
Hollywoodgate è stato presentato alla 80. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
L'Afghanistan è da sempre un paese con moltissime difficoltà e con numerosissime guerre. Nel 1979, ci fu l’invasione sovietica, durata per dieci anni. Nel 1996, il presidente Bush ordina la sua occupazione. Una guerra atroce, dura, con due strategie diverse. Gli americani con micidiali e costosissime armi, e i talebani con la guerriglia e i fucili. Il 30 agosto del 2021, i soldati yankee fuggono da Kabul in modo rocambolesco rievocando la medesima disfatta di Saigon nel 1975. Partiti gli americani, l'esercito afghano, addestrato e armato per anni dalla NATO, doveva affrontare i talebani. Ma in un unico giorno di avanzata, l'esercito si scioglie. I soldati scappano, gli armamenti sono abbandonati, accatastati nei forti.
Il documentario racconta la storia di queste armi, dimenticate da americani distratti. Armi sofisticate, letali rimaste intatte e pronte a essere utilizzate.
Kabul. Un mercato, delle buche, dei papaveri, delle donne picchiate per strada da talebani. Sono immagini sgranate apparentemente amatoriali. Questo incipit riporta superficialmente la moltitudine di luoghi comuni appartenenti al campionario d'immagini degli afgani. La povertà, la distruzione, la droga, il maschilismo.
Da queste sequenze si passa alle inquadrature nitide di Ibrahim Nash'at, il quale riesce a farsi accettare dai talebani per filmarli per un documentario. Come ci è riuscito non è chiaro:
“… until it led me to Malawi Mansour, who had just been appointed as the Head of the Air Forces. He directly accepted my request to film Mukhtar, so I asked to film with him too and he agreed.” (9)
...
“Though I thought that my background was what would ensure my access, their exaggerated interest in the work I did filming world leaders made me realize that what they saw in me was someone who could feed their internal image of themselves as people of power.” (9)
Ha mentito? Li ha ingannati? È stato raccomandato? E da chi? Perché fra tanti cronisti interessati è stato scelto Ibrahim Nash'at? Ha giocato sulla loro vanità di essere protagonisti di un film?
La pellicola non mette i talebani in buona luce. Però, Ibrahim Nash'at non sembra spaventato dalla loro fama di sanguinari anzi appare continuamente tranquillo e pacioso.
Il regista si accoda al generale afgano Malawi Mansour, comandante delle forze aeree afgane, ma dubito che avesse avuto una flotta di aerei militari.
Malawi Mansour ha combattuto nella guerra. Il padre è stato ucciso dagli americani.
Il film parte dall'ispezione di una base aerea battezzata dagli americani Hollywoodgate. Una freddura? Mica tanto, è stata una guerra è al servizio del cinema, dei produttori, delle televisioni. O meglio, al servizio delle potenti industrie di armi e della politica guerrafondaia dei newcom.
I talebani girano, osservano queste macchine da guerra, mai viste. Si chiedono come potrebbero servirsene, se potranno usarle, se hanno bisogno di esercitarsi. Hanno queste armi ma non hanno il know how per spararci, non hanno le istruzioni ma forse nel mondo individueranno qualcuno capace di adoperarle.
I talebani parlano di soldi come dei normali amministratori, ma non sembrano molto abili nella matematica, ma non è essenziale l'aritmetica per guidare un aereo.
Il generale parla della voglia di penetrare in Tagikistan ma confessa l'impossibilità poiché sono alleati dei russi. I russi appaiono pure con l'arrivo di un loro diplomatico per assistere a una prestigiosa parata militare.
Ci sono poi gli schiaffi a dei soldati desiderosi di partecipare a una festa senza averne l'invito.
Il film procede con molte sequenze piccole, ritagliate, mostrate in un susseguirsi di ritmo.
I talebani sono alteri, ansiosi per le sfide future. Sono potenti, orgogliosi per la vittoria e ottimisti.
Sicuramente non sono corrotti, non sono deboli, non sono diffidenti altrimenti il regista non avrebbe mai fatto questo film.
Alcune simbologie si possono leggere chiaramente. Oltre le armi, cosa hanno lasciato gli americani dentro la base? Alcolici, rovine, sporcizia, confusione, depressione. Le normali schifezze dopo le fughe dei marines.
La fierezza dei talebani è rappresentato dalla sicurezza, se avessero avuto la loro tecnologia americana, avrebbero dominato il mondo. Riflessione razionale difficile da comprendere per un decadente occidente con morale al contrario e con un futuro sgradevole.
Sono persino esperti della psicologia americana come la loro consapevolezza di avere paura di essere mortificati di fronte alla Cina.
Conoscono i giornalisti correttamente: “I don't like journalist”. Per i talebani sono tutte spie al servizio delle Intelligence straniere.
Sono anche dei bambinoni, come quando corrono sorpresi sul tapin routant.
Più inquietante è la sfilata degli attentatori suicidi nella parata con le altre truppe.
Ibrahim Nash'at è un narratore eterodiegetico ma con uno sguardo politico sulle vicende. Percepisce la sofferenza ma non le cause. Non c'è profondità di pensiero, perché non c'è analisi storica, scientifica nemmeno una banale alternanza di opinioni, un dibattito. Si limita a riprendere sapendo, una volta finito, di ritornare al sicuro e protetto in occidente.
Non c'è aspettativa, intreccio e neppure fabula. Non c'è tensione, uno sviluppo.
Non c'è atmosfera, non c'è una discussione fra bene e male, poiché il regista ha un'idea filmica precostituita, attribuisce tutte le colpe ai talebani. Gli afgani sono poveri, circondati da macerie, morti, mutilati, di chi è la colpa? Ovvio dei talebani al governo da appena un anno, i quali hanno trovato una gestione di uno stato distrutto. Mentre i venti anni di un governo filo americano, i quali hanno mantenuto il potere con l'esercito, disinteressandosi della volontà del popolo afgano, sono stati simili a un Rinascimento.
Il regista ha compiuto il suo tema senza infamia e senza lode perché appare pigro e sfaticato. Filma con uno snobismo simile a un colonialista inglese impegnato a sorseggiare del te all'ombra laddove fissa i suoi lavoratori raccogliere cotone sotto il sole cocente. Il film è un'occasione persa, politicamente corretto, reazionario e soporifero. Bastava un po' di cattiveria per essere sulla via giusta.
Gianfrasket, “Gli Stati Uniti sono stati in guerra 222 anni su 239 che esistono come stato”, 26 febbraio 2015, http://informare.over-blog.it/2015/02/gli-stati-uniti-sono-stati-in-guerra-222-anni-su-239-che-esistono-come-stato.html
https://libraries.indiana.edu/political-history-americas-wars
https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_wars_involving_the_United_States
https://english.news.cn/20220902/735703a45cfd458791179d4c0a80e727/c.html
https://www.nbcnews.com/meet-the-press/meetthepressblog/iraq-war-numbers-rcna75762
https://ilmanifesto.it/dal-1945-ad-oggi-20-30-milioni-gli-uccisi-dagli-usa
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