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Cenzorka - 107 Mothers

Cenzorka - 107 Mothers

Regista: Péter Kerekes

Cast: Maryna Klimova, Iryna Kiryazeva, Lyubov Vasylyna

Provenienza: Slovacchia, Repubblica Ceca, Ucraina

Anno 2021

Autore recensione: Roberto Matteucci

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Tu sogni il tuo crimine.”

In prigione, i figli piccoli vivono insieme alle detenute mamme. Le carcerate devono scontare la pena e contestualmente devono preoccuparsi della vita, dell'affetto, dell'educazione dei bambini. Le condanne hanno all'annoso dilemma: il colpevole deve essere sottoposto a una pena retributiva o rieducativa? Si può pensare a una condanna rieducativa e contemporaneamente tenere dei bambini in un penitenziario? Il problema riguarda il mondo intero, tanto ché le Nazioni Unite hanno codificato principi e comportamenti nelle Regole di Bangkok, donne detenute e donne autrici di reato in misura non detentiva, pubblicato a luglio 2010.

La regola 49 stabilisce un norma fondamentale:

La decisione di autorizzare un bambino a restare con la madre in carcere deve essere fondata sull’interesse superiore del bambino. I bambini che sono in carcere con le loro madri non devono essere mai trattati come detenuti.” (1)

È pensabile trattare le mamme come detenute e, simultaneamente, i figli come persone libere in una struttura chiusa, con spazi limitati, con guardie armate e barriere invalicabili?

Questione non semplice, difficilmente risolvibile, poiché alcuni colpevoli compiono incredibili abusi per poter ottenere questi privilegi e sfuggire alle loro responsabilità. In modo ironico questi trucchi furono raccontati nell’episodio Adelina nel film Ieri, oggi e domani di Vittorio De Sica con Sophia Loren.

L'Ucraina sta attraversando una tormentata transizione dopo l'uscita dalla sfera russa. Una guerra civile nel Donbass, una crisi economica con una inflazione elevata, una disoccupazione enorme e salari bassi. Gli effetti sono visibili anche nelle carceri. Il Pulitzer Center on Crisis Reporting ha pubblicato un reportage del fotografo Misha Friedman sulle prigioni ucraine (2) focalizzandosi sulla vita delle detenute e dei loro bambini.

La sua inchiesta descrive di una condizione disastrosa.

L'Ucraina ha una delle più alte percentuali di carcerati dell'Europa:

“Perhaps the biggest change was the decline in the number of prisoners, from 147,000 in 2013 to around 61,000 in 2016. However, the prison population rate is still much higher than in Western Europe: 77 in Germany versus 167 in Ukraine per 100,000 of national population.” (3)

Gli edifici sono vecchissimi e fatiscenti:

“Women and children spend months in Ukrainian prisons before conviction. These pre-trial detention centers resemble torturous dungeons, many were built over 100 years ago and have seen very little renovation or even basic upkeep.” (4) 

I detenuti sono soggetti a numerose violenze, a una alimentazione scarsa e inadeguata, a cure mediche modeste, con un’alta percentuale di reclusi con HIV e con tubercolosi:

“... conditions are poor and nowhere near international standards; a quarter of prisoners are in pre-trial detention centers for months, even years; brutal treatment by guards, inadequate nutrition, and subpar medical care. About 20 percent of prisoners are HIV-positive, tuberculosis infection rates are very high, as well.” (5)

Le fotografie di Misha Friedman sono bellissime, consentono una lettura metaforica, e soprattutto animano i sogni luminosi dei carcerati.

Secondo il fotografo, i figli possono restare con le mamme fino al raggiungimento dei tre anni. Successivamente, il loro futuro dipende dalla condanna della madre. Nelle fotografie di Friedman prevalgono i dettagli, come il pavimento, il frigorifero, il letto e le mura:

“The room is simply furnished – with a small rug on the floor, a white refrigerator, a child’s bed, and a changing table. A brightly colored picture of a flower bouquet and some unsophisticated icons adorn the walls. The scene resembles a Soviet dormitory for families – modest but well-kept, providing for the basic needs of mother and child. Only the thick white grating beyond the sheer curtain betrays that this room is in a Ukrainian pretrial detention center.” (6)

L'autore evita onestamente di pronunciare un giudizio orale sull'opportunità di lasciare bambini piccolissimi con le madri:

I am not ready to judge whether it is bad or good to keep children behind bars with their mothers,” says Friedman. “My job is to show that this phenomenon exists, and how Ukraine is dealing with it in the context of its penitentiary reform, for children are one of the obvious lenses through which to see this reform.” (7)

Ma non lesina di esprimersi con il vigore delle sue immagini. In esse c'è una storia e una vitalità. La particolarità più eclatante delle sue foto sono l'aspetto inanimato. Le pareti, i parlatori, gli esterni, sono dipinte dagli stessi prigionieri con abilità:

Prisoners decorate their own rooms. There’s no budget, no guidelines or any kind of code that dictates what rooms should look like. The rooms are reflective not only of their taste but also of an impoverished institution. Perhaps a wall is painted green because the warden was able to procure a few cans from the local paint shop, as a barter for some pickled cabbage made in the prison’s kitchen.” (8)

Peter Kerekes director and the actress Iryna Kiryazen in Venice Film Festival premiere copyright www.popcinema.org

La specificità delle pareti colorate dai detenuti richiama un altro studio artistico compiuto nello stesso periodo. Il regista Péter Kerekes, denuncia la situazione delle donne e dei figli in un carcere di Odessa, nella pellicola Cenzorka - 107 Mothers presentato alla 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, vincendo il premio Orizzonti per la migliore sceneggiatura.

Nel carcere femminile di Odessa, Leysa - l'attrice Maryna Klimova - sta scontando una sentenza di sette anni per aver ucciso, per gelosia, il marito. Al momento dell'arresto è incinta. Il figlio rimarrà con essa nella prigione. Lo stesso accade a tante altre madri, ovunque. È una vita difficile, di abbandono, di separazione dalle famiglie. I ragazzini crescono in comunità con le madri, con le secondine, con gli assistenti. 

La storia è semplice ma con una profondità notevole. Il regista è capace di sviluppare i pochi elementi evitando influssi troppo spettacolari. 

La prima domanda dello spettatore: Cenzorka è un documentario o una finzione? Sull'argomento, Péter Kerekes è stato punzecchiato spesso nelle interviste:

  1. “It's a fiction that it's using a lot of documentary elements.” (9)

  2. ”Cineuropa: I didn’t know what was I watching: documentary or fiction. But your main protagonist is an actress, correct?” It’s a long story. We originally started to make a film about censors. Nowadays, everything goes through computer algorithms, so these guys are the last ones standing. We found some in Saudi Arabia, focusing on fashion magazines, and then there are those in prisons, censoring letters. We found Iryna in Odessa prison, and we wanted to show a woman, sitting in her office, reading other people’s love letters. It was supposed to be your standard, Ulrich Seidl- or Nino Kirtadze-style documentary. Then we went deeper into the stories of female prisoners, having children, and I realised that it’s impossible to follow them all the way through. (10)

Le risposte del registe indirettamente respingono l'etichetta, puntando sul risultato emozionale. Lo stile documentario sarebbe stato troppo freddo, incapace a esprimere una umanità complessa. Allora Kerekes ci ha aggiunto una storia verosimile ma interpretata da una bravissima attrice professionista per aggiungere qualità. Perciò, il film è un mix fra i due generi, alla impassibilità dei documentari si unisce la versatilità della finzione.

Chiarito il dubbio più appariscente, il film ha una lettura chiara con tematiche definite: donne e bambini in prigione, maternità, umorismo, senso di colpa, rimozione, incertezza, solitudine, mancanza di uomini. Ci sono poi dei temi sociali e politici. Uno dei meriti dell'autore è parlare di donne in galera riferendosi non solo alle detenute ma pure alle guardie, anch'esse vivono in maniera ristretta.

Il regista per impedire interpretazioni inopportune ha eliminato ogni cliché trito della vita in carcere:

“… in the beginning of the film we've wrote down the 10 cliche of the prison films that we never have in this movie you know like no sex scenes no nude woman in the shower no violence no bars no handcuffs no historical scenes and so on …” (11)

di conseguenza niente tentazioni pruriginose, niente violenza, niente banalità.

Il regista non ci mostra delle sante, ma degli individui colpevoli di delitti efferati come l'omicidio:

Le loro madri hanno commesso un crimine, spesso hanno ucciso i loro stessi padri, ma sperano in una vita migliore per i loro piccoli.” (12) 

La dimostrazione della loro debolezza umana avviene nelle loro confessioni, ciò le rende più vicine alla catarsi finale.

È un film con una totale assenza maschile, al limite della misandria:

Ci sono solo donne in questo film (a parte due preti ortodossi). Durante la ricerca, ci siamo stupiti del fatto che nel 90% dei casi le donne in carcere partoriscano un maschio. Per il film è stata una scelta simbolica. Lesya ha ucciso suo marito in preda alla gelosia, ora sta allevando il loro figlio. I detenuti devono scrivere lettere alle loro vittime, come parte della terapia. Lesya scrive al marito morto “Kolya ti assomiglia, è il tuo sangue”. Quindi, Kolya diventa l’immagine di suo marito e della sua colpa.” (13)

Gli uomini sono il bersaglio dell'ira delle donne, le quali, come la mantide religiosa, dopo l'accoppiamento divorano il partner. 

Come indicato dal titolo in inglese, 107 Mothers è un film corale. Sono innumerevoli le protagoniste, ognuna con la propria intimità, pronte a raccontarsi di fronte alla guardia per una sorte di psicanalisi.

A prevalere sono Iryna e Lesya.

Lesya ha solo il figlio, il resto della sua vita si è sgretolato durante la prigionia. Quando il figlio raggiunge i tre anni, gli è stata respinta la grazia. Per scongiurare l'orfanotrofio chiede alla sorella di tenerlo nella sua casa. Ma rifiuta, ha già una situazione familiare disagevole. Il medesimo diniego giunge perfino dalla madre, la quale vuole una nuova esistenza. L'antipatica suocera accondiscende ma solo dietro una promessa inaccettabile: una volta scarcerata non dovrà più vederlo.

Lesya è sola, abbandonata, combatte per il figlio. Nonostante possa essere arduo immaginare un avvenire, essa vuole per lui un'esistenza migliore, diversa, con maggiori possibilità.

Non ha mai un comportamento di accidia, di depressione, di pigrizia, di fragilità. Non ha malinconia, esegue il suo compito umilmente e reagisce orgogliosamente e ottimisticamente

Iryna è l'agente di custodia. Ha un evidente fondo di tristezza. Ha un modesto appartamento nel penitenziario, quindi vive come le recluse. La madre va a trovarla e, come i parenti delle prigioniere, deve passare i controlli. Iryna deve subire gli insistenti rimproveri della madre, la quale si lamenta perché non ha un uomo, perché non gli dà un nipotino, perché le sue amiche hanno delle figlie migliori. Come le carcerate, anche la sua vita è tutta all'interno della prigione. Fuori è un'estranea. Una sera si veste elegantemente in rosso e va a ballare. Il regista rappresenta una scena d'infelicità. Balla con dei signori ma non si diverte. Nel ritorno a casa, nell'autobus, è seduta in fondo. Davanti c'è un gruppo di ragazzi chiassosi, allegri. È il contrasto a riferire l'indole e le scelte di Iryna. Iryna è se stessa:


“Conoscendo Iryna, rimasi ammaliato dal suo carattere e dalla sua personalità, da come si presentava. Lei poteva essere terribile (anche per noi), ma faceva qualsiasi cosa per aiutare le carcerate. Sapevo già che lei sarebbe stata la protagonista del film. Nel momento stesso in cui il documentario divenne una fiction, la storia cominciò a ruotare intorno a lei. Capii che le sue scene migliori sono quelle in cui interagisce con altri personaggi. Lei presentava una indole diversa per ciascun interlocutore. Gentile, brusca (con le prigioniere che lasciano per terra i mozziconi di sigaretta) e sola. Lei ha una vita molto ordinata, ogni cosa è al suo posto, vive seguendo le sue regole, moralmente giuste, ma tuttavia è sola.” (14)

Iryna ha una personalità forte, svolge il lavoro con dedizione, parla con le detenute, cerca di aiutarle. Non vuole essere una loro amica, non confonde i ruoli, ha il senso del dovere. Non è cinica; ascolta con professionalità le loro disgrazie. È onesta, sincera, forse golosa, sconfortata ma buona. Uno dei suoi compiti è leggere le lettere inviate alle recluse per censurare le frasi inappropriate, ad esempio quando la chiamano cicciona.

Le scena iniziale è emblematica. Un dottore sta visitando una donna. Campo medio. È brutta, incinta. Campo lungo, due donne sono misurata e pesate. La sequenza è rude. Partorisce, urla. È un parto vero. Il pianto del neonato continua anche nella sequenza successiva. La madre è dentro un cellulare, torna in carcere. È la vita delle detenute. Non c'è nessuna eccitazione, è soltanto realtà.

Segue con il medesimo linguaggio le altre sequenze. Le donne hanno dei colloqui con la guardia. Si susseguono velocemente intercalate da stacchi neri. Hanno tutte la stessa posizione, stessa sedia e sfondo sfuocato. Riferiscono di crimini terribili ma con calma serafica, con distacco, senza emozioni apparenti.

Poi c'è il complicato dovere di essere madre. Le mamme sono svegliate in piena notte. Arriva un'infermiera. Sta spingendo un trabiccolo con sopra i fanciulli. L'ambientazione è squallida. I neonati sono consegnati alle rispettive madri e, tutte insieme, li allattano. La camera d'alto riprende tutti i lattanti mentre stanno piangendo è la maternità “Anche fare la mamma è un lavoro”.

Nella seconda parte i bambini sono cresciuti. Le stagioni passano, da una calda estate a un nevoso inverno. Tre anni sono trascorsi, ora sono dei ragazzini vivaci, giocano, si nascondono. Lo squallore è nelle feste di compleanno dei bambini. Tutte uguali. Al centro c'è la torta, ai lati di profilo, su due seggioline, c'è la mamma e il fanciullo, in piedi l'assistente osserva lo svolgimento in modo ossessivo.

La monotonia del posto, la rassegnazione, il dolore, la solitudine, non impediscono l'umorismo e il divertimento delle donne. Come quando mangiano il cocomero, rompendolo sbattendolo su delle tavole ovvero quando la guardia colora di rosso le scarpe perché sono alla moda, ma non ha i soldi per comperarle originali.

Le scene sono ripetitive, i dettagli sono reali, come i brutti piedi, come i particolari della miseria, come il dialogo tra Lesya e la sorella nel parlatorio “E dove lo porto?” quando gli implora di prendersi cura del figlio. La scena si ripete al telefono sia con la madre, sia con la suocera.

La scene sono drammatiche, hanno una emotività tracimante. I bambini creano una maggiore affettività. Il turbamento non arriva direttamente allo spettatore, arriva edulcorato. È il maggiore pregio di Péter Kerekes, il quale spiega il suo lavoro:

“… i eden to have tension between the form of the image and between the subject of the image and the the substance of the image is really very rough because you see this prisoners that kill their husbands or they kill their lovers of their husbands becasue of the jealousy we see very rough situations the real birth of a baby so everything is real life very rough but on the other side the camera work is i'm not saying nice because it's not making the reality nicer but it's somehow weird aesthetic and i think between this beauty and roughness is coming a is creating a very strong and powerful tension and we wanted to have it like this in our movie also because ...” (15)

I racconti sono duri, spietati, impietosi, disumani. Le ragazze parlano di assassinio del marito, di amanti. Devono assistere i figli in condizioni faticose, l'avvenire è molto incerto. Eppure, il regista filma con una percezione contraria, con una sensazione pacifica, con una bellezza di fondo, con un atteggiamento tranquillo. C'è tensione fra soggetti e la forma delle immagini. È un linguaggio profondo e decisivo.

Per raffigurare sequenze più sensibili ci sono i disegni delle pareti delle cella. Non c'è uno standard, sono libere di disegnarli secondo le loro sensazioni.

È una serie di sfondi paradisiaci come foreste, spiagge, laghi, tutte illustrazioni rilassanti:

“… we were inspired by the way how this woman in the prison they are living, they are paiting beautiful landscapes to the walls of the prison so you have permanent feeling like if you are in a tv studio from the 70s you know green screen where the background there is a seaside or a forest or lakes or something what describes freedom ...” (16)

è la stessa impressione avuta dal fotografo Misha Friedman, anch'esso colpito da una prigione dipinta con libertà dai carcerati

Il film è quasi narcotizzante, i personaggi camminano decisamente verso il loro destino. C'è un attimo di repulsione per il rifiuto della famiglia di Leysa e il subdolo ricatto della suocera. La domanda è ovvia: Leysa riuscirà a salvare il figlio dall'orfanotrofio?

Il film procede come un mosaico composto da 107 donne. 

“Abbiamo creato un mosaico” (17)

C'è un intreccio, un percorso emotivo, con la trama centrale puntata su Leysa e Iryna. Ma c'è pure un coinvolgimento con le altre donne. Il ritmo è continuo, con una ripetitività decisa, come le armoniche sequenze dei colloqui, i quali avvengono tutti con l'identica inquadratura. Le linee, i colori coprono un ambiente reale crudele dietro un andamento ritmato, una sintonia, una drammaticità e un lavoro concentrato sul tempo.

La sorpresa giunge ed è determinante. La tensione è tutta sull'aspettativa del futuro. Il colpo di scena è inaspettato, nascosto fra i meandri della trama. È la sottolineatura del bisogno di maternità, è la giusta decisione, è il carattere del film.

La struttura è ottima come la presentazione dei personaggi, i conflitti delle prigioniere con il sistema giudiziario, con le famiglie, con l'incertezza di sistemare il figlio. La rivelazione arriva implacabile.

La prigione è un Refugium peccatorum, la sublimazione eleva l'elemento etico, il male (gli sbagli delle donne) non prevalgono sul bene.

Il regista lascia indietro qualcuno. Sono i bambini, i quali non appaiono come le vittime principali. La galera per essi non sembra inumana. Le madri hanno una colpa ma qual è la colpa dei bambini? Perché già dalla nascita sono stati condannati? Come ostacolare il loro passaggio dalla prigione all'orfanotrofio o all'adozione?

Il film ha vinto il premio Orizzonti per la sceneggiatura. L'opinione di Kerekes sulla sua sceneggiatura è sarcastica. Più della sceneggiatura è la curiosità a rendere speciale Cenzorka - 107 Mothers:

Even though the film was roughly scripted I was led by permanent inquisitiveness. There were very few scenes which were just fulfilling the text of the script. Most of the scenes were a surprise, had a life of their own.” (18)


  1. https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.wp?facetNode_1=0_2&facetNode_3=0_2_12&facetNode_2=0_0&previsiousPage=mg_1_12&contentId=SPS1188464

  2. Women and children spend months in Ukrainian prisons before conviction. These pre-trial detention centers resemble torturous dungeons, many were built over 100 years ago and have seen very little renovation or even basic upkeep. https://pulitzercenter.org/projects/life-without-sunlight-ukraines-female-and-child-prisoners

  3. https://pulitzercenter.org/projects/life-without-sunlight-ukraines-female-and-child-prisoners

  4. https://pulitzercenter.org/projects/life-without-sunlight-ukraines-female-and-child-prisoners

  5. https://pulitzercenter.org/projects/life-without-sunlight-ukraines-female-and-child-prisoners

  6. https://pulitzercenter.org/stories/taboo-disgrace-and-abandonment-what-its-be-female-inmate-ukraine

  7. https://pulitzercenter.org/fr/node/16636

  8. https://pulitzercenter.org/stories/no-two-rooms-are-alike-ukrainian-prisons

  9. https://youtu.be/xKuONY2Ws30

  10. https://cineuropa.org/it/interview/409720/

  11. https://youtu.be/xKuONY2Ws30

  12. https://daily2021.venezianews.it/interviste/peter-kerekes/

  13. https://daily2021.venezianews.it/interviste/peter-kerekes/

  14. https://daily2021.venezianews.it/interviste/peter-kerekes/

  15. https://youtu.be/xKuONY2Ws30

  16. https://youtu.be/xKuONY2Ws30

  17. https://youtu.be/DiBQWubldKM

  18. https://variety.com/2021/film/spotlight/107-mothers-director-kerekes-reflects-on-venice-film-1235055746/