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Argo Regista: Ben Affleck

Argo

Anno: 2012

Regista: Ben Affleck

Autore Recensione: Roberto Matteucci

Provenienza: USA

“Sei nel posto giusto.”

L’attivismo politico di Ben Affleck prevede ingresso abbastanza clamoroso nella politica. Si è parlato di lui come candidato al posto di senatore che fu di John Kerry.

Nonostante la smentita, la politica è parte integrante della sua personalità.

Argo da lui diretto e interpretato, ha vinto l’Oscar come miglior film e ’’casualmente’’ è stato premiato da Michelle Obama, un premio significativo per l’impegno profuso dal regista nell’appoggio del Presidente Obama.

Il modo migliore per vedere il film è viverlo come un mega spot elettorale.

Il 4 novembre del 1979, dopo la rivoluzione iraniana, il ritorno dell’ Ayatollah Khomeini, la fuga dello Shia, l’Iran scoppiò. I giovani, fanatici e barbuti studenti, alla guida della sollevazione, attaccarono l’ambasciata degli Stati Uniti e sequestrarono il personale. Furono poi rilasciati il 20 gennaio 1981. Tutto il periodo della prigionia fu per l’America un momento di grande rabbia, e un desiderio di vendetta e di frustrazione per la mancata possibilità di intervenire.

Lo stesso giorno dell’assalto all’ambasciata sei dipendenti americani, il cui ufficio aveva una porta sulla strada, uscirono e si nascosero nell’appartamento privato dell’ambasciatore canadese.

La storia racconta del trasferimento segreto dall’Iran degli ostaggi, a dispetto delle ricerche della polizia locale.

Il film si basa su due linee parallele, con delle differenziazioni sostanziali.

Tony Mendez è un agente della Cia specializzato in recupero di persone in grande difficoltà all’estero.

Chiamato a definire una strategia ha la brillante idea andare in Iran a preparare la produzione di un falso film di fantascienza: Argo.

Per rendere sicuro il tentativo bisogna creare una copertura reale e verosimile. Perciò si reca a Hollywood e con l’aiuto di un produttore e di un regista, inizia l’allestimento della pellicola.

I due filoni sono quello hollywodiano e quello iraniano.

Quello iraniano ha una tensione emotiva sia per la situazione dei fuggitivi, sia per l’incertezza.

Il tempo americano si basa su uno sberleffo divertente e ironico sulla vita californiana.

L’inizio della parte iraniana è un montaggio di una serie d’immagini di repertorio. Assemblate velocemente con scene registrate, il risultato è di introdurci nella paura e nella situazione psicologica dell’epoca.

Fuori c’era il caos. Gli studenti assediavano l’ambasciata, odio e fanatismo sono dipinti nei loro volti. Dentro l’edificio una calma apparente, tanto silenzio.

Intercalando scene dei telegiornali originali a quelle di finzione riusciamo a entrare nella rabbia crescente negli Stati Uniti e nell’Iran, comprendendo come fosse fondamentale liberare i sei dal paese islamico.

Tony Mendez si sposta a Hollywood. Probabilmente Ben Afflek conosce bene la vita della capitale del cinema. Con uno spirito alla Woddy Allen inizia la descrizione ironica di un mondo basato sull’immagine esteriore, dove per il cinema tutto è permesso: “Girerebbero a Stalingrado con Pol Pot alla regia pur di incassare.”

Afflek si serve di due attori fuori dalle righe, esagerati per dotare il film di un’eccitazione cinematografica.

Alan Arkin e John Goodman sono rispettivamente il produttore e il regista.

I due deliziano con una serie di battute sull’esteriorità e vacuità di Hollywood:

“Persino una scimmia impara a fare il regista in un giorno.” “Se ci sono i cavalli è un western.” “Se sarà un falso film sarà un falso successo.” “Hai paura dell’Ayatollah? Vedrai il sindacato scrittori.”

Il produttore è indeciso, ma mentre sta pensando, scorge alla tv un ostaggio bendato e accetta.

È il mondo di Afflek, il mondo dove la finzione crea verità. Il messaggio è quello dell’arte, perfino brutta – perché il falso Argo è un bruttissimo film – ma che riesce a prevalere sulla triste e atroce realtà.

La pellicola ha un abile montaggio fra i due mondi, una recitazione nervosa e inquieta come nei dialoghi fra i sei fuggitivi.

Mentre la parte americana grazie ai due attori assume un tono disincantato quasi leggero, ma pur sempre patriottico.

Il messaggio forte è politico, per una nazione con un crescente sentimento di assedio e di pericolo.

Nella scena del produttore incerto se accettare, cambia repentinamente idea quando la televisione mostra un ostaggio incatenato e bendato.

Il patriottismo americano deve prevalere anche nel mondo del lusso e della vanità di Hollywood.

Se l’America è finzione, trucco, superficialità, il mondo iraniano sta messo peggio: un morto impiccato appeso da qualche tempo da una gru è il simbolo di quanto accade nel paese.

Il film è bello; però non regge il paragone con Zero Dark Thirty, perché Argo è più accattivante rispetto alla potente freschezza e cattiveria umana dell’opera di Kathryn Nigelow.

Il montaggio tende a imporre l’artifizio, il messaggio patriottico è buonista. Tutto girato con velocità, divertimento e con dettagli sui particolari per rendere realista la trama.

Memorabili sono le battute del produttore:

“John Wayne se ne andato da sei mesi e questo è ciò che resta dell'America”, John Wayne è il mito dell’America profonda e indefessa.

Alla quale bisogna aggiungere una freddura totalmente holliwodiana:

”Quello che inizia in farsa finisce in tragedia”

“No, la frase è al contrario”

“Chi lo disse esattamente?”

“Marx.”

“Groucho disse questo?”