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A Day in the Life of Anil Bagchi - Anil Bagchir Ekdin Regista: Morshedul Islam

A Day in the Life of Anil Bagchi - Anil Bagchir Ekdin 

Regista: Morshedul Islam 

Cast: Aref Syed, Jyotika Jyoti, Gazi Rakayet

Provenienza: Bangladesh

Anno: 2015 

Autore Recensione: Roberto Matteucci

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Leave this mess, Anil.”

Nel 1947, gli inglesi abbandonano l’India. La convivenza fra indù e islamici è impossibile. Si crea una frattura politica e geografica, con migliaia di morti, una transumanza di milioni di persone: musulmani in fuga in Pakistan e indù in India.

La particolarità del Pakistan era la divisione fra due territori a più di duemila chilometri di distanza: il Pakistan e il Pakistan Orientale, l’attuale Bangladesh.

Nonostante avessero gli stessi abitanti, il Pakistan orientale era considerato come una provincia, con potere limitato.

Nel 1971 iniziò una ribellione violenta e militare. La lega Awani, il partito nazionalista del Bangladesh, proclamò l’indipendenza. L’esercito del Pakistan si scatenò in una repressione feroce occupando molte città. La guerra civile esplose. Rapidamente, anche per l’intervento diretto delle forze armate indiane, la situazione si ribaltò e il Bangladesh fu libero. La vittoria non fu indolore: ci furono tre milioni di morti. (1)

È un genocidio poco famoso, sconosciuto, il Bangladesh è lontano e remoto.

Ambientato nell’epoca è il film A Day in the Life of Anil Bagchi - Anil Bagchir Ekdin del regista Morshedul Islam presentato al 13th World Film Festival of Bangkok.

Anil è un giovane timido cresciuto a Rupeshwar, con il padre e la sorella. È indù, il padre è professore d’inglese. È uomo colto, maturo, amante della natura, del fiume.

Ripete sempre la citazione dal Giulio Cesare di William Shakespeare: 

“I vigliacchi muoiono molte volte innanzi di morire; mentre i coraggiosi provano il gusto della morte una volta sola”.

La figura del genitore riempie lo schermo, la camera si accentra su di lui. Il suo ruolo è determinante per comprendere e valorizzare il comportamento di Anil: il padre è profondo conoscitore dell’inglese mentre il figlio è bocciato all’esame d'inglese. 

Allo scoppio della guerra d’indipendenza, Anil si trova per lavoro a Dhaka. Per un indù la condizione è preoccupante. Quando è raggiunto dalla notizia della morte del genitore, cerca di tornare a Rupeshwar alla ricerca della sorella.

Il padrone dove vive, avvisa Anil dei rischi, durante la conversazione c’è un distacco e un’inquadratura aerea mentre bevono il tè.

Anil appare ingenuo, ma è onesto, è un insegnamento del padre di esserlo in qualsiasi circostanza. Divertente è la sequenza dell’intervista di due passanti, di cui uno è Anil, a un giornalista inglese. Sotto il controllo della polizia, una persona rilascia una dichiarazione esaltante sopra le righe: la popolazione è felice. Lo sguardo in primo piano è allucinato ma chiaramente falso. Anil invece non riesce a essere finto perciò, indifferente delle minacce degli agenti, annuncia: “Did you see children in the streets?” Non ci sono bambini nelle strade, sono tutti chiusi in casa perché la città è pericolosa.

Il carattere di Anil è vivo, decisivo, malgrado la sua introversione e riservatezza.

Il viaggio verso casa è sconsigliabile per Anil. Nel bus affollato, ricco di umanità turbata, incontra Ayub un musulmano logorroico, eccentrico, impiccione ma generoso ed espansivo: “It is not time for unecessary talking.”

Ci sono molti posti di blocco della polizia. La paura è tanta. Molti hanno qualcosa da nascondere. Ayub riconosce che Anil è indù e si offre, o meglio, decide di proteggerlo. Finge di essere un parente in trasferta con la famiglia di Ayub per un matrimonio. Nello scassato autobus si alternano attimi divertenti con altri di tristezza, di solitudine e di terrore.

Il centro del film si sposta da Anil ad Ayub. Esso esprime il mondo umanitario di un musulmano disinteressato. Le sue chiacchiere sono infinite e con voli pindarici incredibili.

Nell’incontro con i soldati, perfino il controllo fisico dell’abbassamento dei pantaloni, per vedere se fossero circoncisi, è reso buffo da Ayub.

I tre segmenti della trama hanno una struttura piena di flash back, e linguaggi dissimili.

S’inizia con Anil fanciullo, è in paese, intorno c’è una festa popolare colorata. Un serpente fugge e spaventa Anil. Dalle tinte della celebrazione si passa al bianco e nero del risveglio dall’incubo. Anil è a Dhaka, sogna dei soldati pakistani mentre stanno sfondando la porta della stanza.

La cromaticità per Morshedul Islam è importante. Rivolge al colore un significato fondamentale.

I flash back della felice infanzia, del padre, della sorella sono costantemente cromatici. Smette di sognare e affrontare la tragica realtà, le grandi difficoltà, la sofferenza ed esclusivamente in bianco e nero.

Il bianco e nero è elegante ma rende tutto angosciante, con un tono, un fondo d'infelicità. La felicità ha un richiamo, un ricordo di un periodo di dolore.

Alla fine, il bianco e nero del presente, ritorna al colore. Anil è di nuovo vicino al fiume della fanciullezza, il passato e l'oggi s’incontrano. Anil si prepara a ritornare nel luogo più allegro della sua vita. Il regista chiude inquadrando i tanti animali del fiume, in uno di questi potrebbe essere rinato Anil?

L’autore è capace d'intrecciare la storia della nascita di una nazione, delle atrocità subite per essere liberi, con i fatti della famiglia. Un presente di sofferenza contro la spensieratezza della giovinezza. Oltre alla peculiarità di Anil e Ayub, altre scene sono simboliche per un film storico.

L’ironia di un colonnello pakistano, in primo piano con gli obbligatori occhiali Rayban, mentre con un inglese semplice parla dell’eccellente atmosfera di Dhaka.

Ovvero il confronto amorevole fra il padre e suo fratello sulla necessità di fuggire in India per salvarsi: “This is my country.” “This land is not ours.”

È evidente la differenza fra i due personaggi. L’ottimismo sarà fatale.

Immagini dall’alto in campo lungo, servono per penetrare le vicende, la psicologia, gli eventi storici. Il budget è scarso, non ci sono scene corali immense per rappresentare gli avvenimenti concitati, però l'autore con grande abilità si serve dei pochi attori per mostrare la violenza dei soldati pakistani. In Ayud c’è la volontà di resistenza del popolo del Bangladesh. Non ha paura, con coraggio tenta di aiutare Anil e si scontra con l’arrogante ufficiale del check point.

La voce fuori campo consente di collegare i vari momenti differenti, a volte un po’ melliflua ma utile e pratica.

E poi ci sono le canzoni. Dei momenti struggenti. Anil è nell’autobus, l'espressione sull'esterno assente e la musica riporta una commovente melodia.

[1] www.newworldencyclopedia.org/entry/Bangladesh_War_of_Independence